Cerca |
|
|
|
Progetto
Ovidio - database
|
|
|
|
autore
|
brano
|
|
Cicerone
|
Della divinazione, II, 51
|
|
originale
|
|
51 Num ergo opus est ad haec refellenda Carneade? Num Epicuro? Estne quisquam ita desipiens, qui credat exaratum esse, deum dicam an hominem? Si deum, cur se contra naturam in terram abdiderat, ut patefactus aratro lucem adspiceret? Quid? Idem nonne poterat deus hominibus disciplinam superiore e loco tradere? Si autem homo ille Tages fuit, quonam modo potuit terra oppressus vivere? Unde porro illa potuit, quae docebat alios, ipse didicisse? Sed ego insipientior quam illi ipsi qui ista credunt, qui quidem contra eos tam diu disputem.
Vetus autem illud Catonis admodum scitum est, qui mirari se aiebat, quod non rideret haruspex, haruspicem cum vidisset.
|
|
traduzione
|
|
51 C'? dunque bisogno di Carneade per confutare cose del genere? O c'? bisogno di Epicuro? Pu? esserci qualcuno tanto insensato da credere che un essere vivente, non saprei dire se dio o uomo, sia stato tratto di sotterra da un aratro? Se devo considerarlo un dio, perch?, contro la natura degli d?i, si era nascosto sotterra, s? da veder la luce solo quando fu messo allo scoperto da un aratro? Non poteva, essendo un dio, esporre agli uomini la sua dottrina dall'alto? Se, d'altra parte, quel Tagete era un uomo, come pot? vivere soffocato dalla terra? Da chi, inoltre, pot? aver appreso egli stesso ci? che andava insegnando agli altri? Ma sono io pi? sciocco di quelli che credono a queste cose, io che perdo tanto tempo a discutere contro di loro!
? molto spiritoso quel vecchio motto di Catone, il quale diceva di meravigliarsi che un ar?spice non si mettesse a ridere quando vedeva un altro ar?spice.
|
|
|
|
tutto
il materiale presente su questo sito è a libera disposizione di tutti,
ad uso didattico e personale, non profit/no copyright --- bukowski
|
|
|